La resistenza antimicrobica (AMR) è ora riconosciuta come una crescente minaccia per la salute pubblica in Canada e nel mondo.

Muore Dopo Un'iniezione di Antibiotico: Oggi L'autopsia

Muore dopo l'iniezione di un antibiotico a 57 anni. I grandi utilizzatori sono i più piccoli, i bambini con meno di 3 anni di età: addirittura oltre la metà dei bimbi con meno di un anno di età ha assunto antimicrobici e oltre il 40% farmaci per l’apparato respiratorio, e non parliamo certo qui delle soluzioni saline. Nicolò Daversa aveva assunto un antibiotico per curare un mal di gola, ma è morto in seguito ad uno choc anafilattico insorto subito dopo l’iniezione. Nicolò Daversa, un ragazzo di 27 anni di Ancona è morto dopo aver assunto un antibiotico. La mamma e la fidanzata avevano allertato subito il 118 provando a prestare i primi soccorsi a Nicolò. Cara mamma succede. Cambiare antibiotico (cosa che il pediatra avrà fatto sicuramente) e valutare alcune terapie di scippato che a volte danno buoni risultati (Streptococcus salivarius). I malanni di stagione possono essere molto fastidiosi, ecco perché molte volte si ricorre all’utilizzo di medicinali. Prima di impiegare questo tipo di farmaco bisogna sempre contattare il medico, visto che gli occhi sono molto delicati ed è necessario usare la terapia migliore in base ai sintomi riscontrati.

Per l’OMS é allarme rosso: la sintesi di nuovi possibili antibiotici richiede tempi molto più lunghi rispetto alla rapidità con cui si rafforzano i batteri esistenti, in conseguenza di un uso troppo massiccio dei farmaci che fa sì che sviluppino appunto resistenza. Al 49,9% dei bambini e ragazzi con meno di 18 anni è stato prescritto un qualche farmaco nel corso del 2017 e la maggior parte delle prescrizioni (5,4 milioni, pari al 44,7% del consumo totale dei farmaci in età pediatrica) riguarda antibiotici, assunti dal 38,3% dei minori per una media di 2,6 confezioni pro capite all’anno. Five vs. ten days of norfloxacin generici ordine antibiotic therapy for acute otitis media in young children. In ogni caso, si invita allo stesso modo a non consumare in maniera eccessiva questo farmaco, visto che almeno parzialmente potrebbe terminare nel latte materno e, di conseguenza, essere assunto anche dal feto. Il più prescritto è il beclometasone, assunto dall’11% dei bambini italiani, secondo il rapporto OSMED. Proprio negli ospedali il pericolo si palesa in tutta la sua gravità: la persistente minaccia dei ‘super-batteri’ potrebbe portare in futuro alla rinuncia a interventi chirurgici, chemioterapie e altre pratiche mediche salva-vita ma debilitanti per paura di possibili e incurabili infezioni batteriche.

I superbatteri creati dall’uso irresponsabile di antibiotici penetrano nella popolazione umana, diventando una grave minaccia per la nostra salute, Per cui, farmaci efficaci potranno presto non esserlo più e il tasso di mortalità per infezioni una volta trattabili aumenterà. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2019 l’inflazione aumenterà fino a 10 milioni per cento. Durante l’allattamento, invece, non ci sono ancora sufficienti studi per capire quali siano le possibili conseguenze. “Non c’è da stupirsi dal momento che secondo quanto emergeva da una nostra revisione pubblicata già nel 2011 che aveva esaminato gli studi precedenti su questo argomento i bambini italiani erano risultati essere quelli che assumevano più antibiotici rispetto ad altri paesi come Canada, Stati Uniti, Olanda, Danimarca e Regno Unito” ci spiega Antonio Clavenna, Responsabile dell’Unità di Farmacoepidemiologia del Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. Ci sono quelli detti di prima linea che sono indicati per il trattamento di infezioni meno gravi, e solo qualora non dovessero produrre gli effetti sperati è lecito passare ad antibiotici di seconda e in seguito terza linea. Anzi, nel 2014 noi dell’Istituto Mario Negri abbiamo addirittura dimostrato in una nostra ricerca indipendente finanziata da AIFA e pubblicata su Pediatrics , che il beclometasone non solo non funziona in casi dispnea virale, ma non porta nemmeno benefici nella riduzione dei sintomi delle infezioni del tratto respiratorio.” Insomma, se l’infezione o il raffreddamento rientra dopo qualche ora o giorno non è merito del farmaco e se proprio vogliamo aiutare il bambino è sufficiente l’utilizzo della soluzione salina.

Oggi molte certezze si sgretolano sulla scorta di nuove evidenze che suggeriscono come le scelte sulla durata possano basarsi sui sintomi del paziente, come la defervescenza della febbre, piuttosto che su standard fissi e validi per tutti in modo rigido. Nel caso in cui, però, il soggetto presentasse tale reazione, allora i sintomi più diffusi corrispondono a prurito, eruzioni che si verificano sulla cute, del gonfiore che si manifesta in modo particolare nella zona tutta intorno agli occhi, delle sensazioni simili alle vertigini, così come dei problemi all’apparato respiratorio. Per l’età pediatrica il rapporto raccoglie i dati provenienti da sei Regioni rappresentative delle diverse aree geografiche (Lombardia e Veneto per il Nord, Lazio e Toscana per il Centro e Campania e Puglia per il Sud) con una popolazione residente di circa 34,5 milioni di individui dei quali oltre 5,8 milioni con meno di 18 anni. Un altro gruppo di farmaci ampiamente prescritti ai bambini sotto i tre anni sono i cortisonici per via inalatoria, cioè in aerosol, per trattare i problemi respiratori. I numeri contenuti all’interno dell’ultimo rapporto OSMED 2018 di AIFA parlano chiaro: i bambini italiani assumono molti farmaci, in molti casi non necessari o troppo potenti per il problema da trattare, in particolare antibiotici e medicinali per problemi respiratori, specie prima dei 3 anni.

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